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L'elogio dell'imperfezione

Per crescere un bambino non esistono ricette o formule preconfezionate. E' un apprendimento continuo e appassionante che richiede coraggio nel far ogni giorno scelte educative. Un percorso che si alimenta con lo scambio di saperi ed esperienze. L'elogio dell'imperfezione nasce dall'esperienza del periodico della cooperativa che diventa oggi anche una rubrica online dedicata a genitori ed educatori per condividere il cammino insieme a pedagogisti, filosofi, psicologi, medici ed esperti di discipline diverse.

contesti educativi sensibili

di Alessia Franch, psicologa e coordinatrice pedagogica de La Coccinella

 

Inclusione ed uguaglianza non significano "trattare tutti alla stessa maniera", ma offrire a tutti le migliori condizioni possibili affinche le differenti necessità siano soddisfatte. Questo richiede che siano riconosciute la diversità e l'unicità di ognuno e che ci si adoperi affinchè le differenze non siano un ostacolo alla soddisfazione dei bisogni e alla realizzazione dei diritti di ogni bambino e di ogni adulto.

La letteratura riconosce ai servizi educativi, in particolare al nido, un ruolo importante di osservazione precoce di possibili segnali di patologie e fragilità che a sua volta permette una tempestiva presa in carico; presa in carico che in ogni caso deve andare di pari passo con il processo di accettazione della disabilità del figlio da parte dei genitori. Concretamente quando i servizi gestiti dalla Cooperativa accolgono bambini con disabilità si possono presentare due diverse situazioni: il bambino entra già con una diagnosi e una presa in carico dei servizi sanitari o il bambino entra al nido senza nessuna segnalazione.

Il bambino entra con diagnosi e presa in carico. In questa situazione la famiglia all'atto di iscrizione fornisce la documentazione relativa la bambino; il cooridnatore pedagogico valuta ui bisogni del bambino e le risorse del servizio, in accordo con la famiglia e con i servizi sanitari, richiede l'eventuale attivazione dell'educatore supplementare che sarà di supporto all'educatore di riferimento nella gestione dell'intero gruppo di bambini in cui viene inserito. sarà il cooridnatore pedagogico del servizio a prendere contatto con la Neuropsichiatria per organizzare gli incontri di equipe multidisciplinare ai quali partecipano i genitori, gli educatori, eventuali altri figure proessionali che seguono il bambino. sono occasioni importanti per confrontarsi sulla crescita e i bisogni del bambino e capire come il servizio si attiva per dare adeguate risposte. Sono anche momenti di: verifica del percorso; raccordo con la famiglia e ,nell'ultimo anno di frequaenza al nido, confronto in vista del passaggio alla scuola dell'infanzia.

Il bambino entra senza diagnosi e presa in carico. Questa situazione si verifica prevalentemente al nido proprio perchè è un servizio che accoglie bambini molto piccoli; negli anni successivi solitamente le difficoltà si sono già manifestate e il bambino ha già una diagnosi e/o una presa in carico. Alcune volte già in fase di colloquio di preambientamento la famiglia esplicita qualche preoccupazione rispetto allo sviluppo del proprio del proprio bambino. Può essere che questi dubbi siano sorti ai genitori che si sono accorti " che qualche cosa non va", oppure che siano nati dopo un confronto con il pediatra durante le routinarie visite di bilancio sociale. In entrambi i casi il nido rappresenta un contesto privilegiato di osservazione da cui trarre qualche elemento aggiuntivo, necessario per una visione più ampia e arrivare, se e quando necessario, a consigliare alla famiglia una valutazione neuropsicologica. Il ruolo del nido non è quindi quello di fare diagnosi ma di rilevare eventuali disarmonie rispetto ad uno sviluppo "normale". Le esperienze che si vivono al nido, sai dal punto di vista relazionale che delle aree di apprendimento, possono infatti rendere alcune difficoltà o ritardi più visibili che in un contesto domestico. Altre volte, invece, le famiglie non presentano alcune preoccupazione o dubbio rispetto allo sviluppo del figlio; se al nido vengono rilevate anomali, sarà compito del servizio accompagnare con discrezione e rispetto la famiglia verso questa consapevolezza, necessaria per procedere ad una valutazione neuropsicologica.

Accogliere le famiglie. Accogliere la famiglia di un bambino con disabilità implica per chi lavora nei servizi educativi avere nei suoi confronti ancora più rispetto e delicatezza.Come avviene concretamente questo confronto?Dopo una fase di attenta osservazione da parte di educatrici e coordinatrice pedagogica, quest'ultima invita i genitori ad un colloquio nel quale esporrà alla famiglia le proprie riflessioni sul bambino e inviterà i genitori ad un approfondimento diagnostico. Si tratta di un incontro delicato che spesso avviene dopo pochi mesi dall'ambientamento del bambino, in un momento in cui si sta ancora costruendo un rapporto di reciproca conoscenza e fiducia.Ogni famiglia che il bambino incontra è diversa: alcune vivono questo confronto quasi con "sollievo" perchè trovano conferma dei loro dubbi, magari inespressi,o, quando sono stati esplicitati, non stati condivisi. Altre volte le famiglie reagiscono con rabbia negando le osservazioni del servizio. Il coordinatore può fornire dei focus di osservazione del bambino a casa e concordare di ritrovarsi dopo qualche tempo per confrontarsi nuovamente.

Alessia Franch
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Paola Venuti
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Bambino

Non vale tutto uguale perche' non sono tutti uguali.

Di Silvana Buono, coordinatrice pedagogica La Coccinella e psicologa

 

Essere genitori significa anche riconoscere e dare valore alla specificità di ciascun figlio creando le condizioni perché la sua identità si sviluppi e la sua personalità si espanda in tutte le potenzialità. Valorizzare la dimensione esistenziale unica e irripetibile del singolo bambino, rispettarne l’identità e sostenerne lo sviluppo significa, come scrive il pedagogista Andrea Bobbio, cercare di non colonizzare l’esperienza infantile con le categorie interpretative dell’adulto e le sue “prassi corrette”; occorre dotarsi di uno sguardo attento, della capacità di ascolto e di comprensione; avere fiducia e rispetto del desiderio dei bambini di abitare la vita. E' solo imparando a differenziare, a seguire le "tracce" personali di ognuno di loro, valorizzandone la storia, le caratteristiche, i talenti, le fragilità, i tempi che si realizza un percorso che lascia spazio per diventare ciò che si è. Ma come si può sostenere tutto ciò nel bambino?

Accettate: il bambino perfetto non esiste. Non ricercate modelli che portano solo ad essere genitori insoddisfatti sia verso voi stessi, sia verso i vostri figli. Apprezzate i talenti e cercate di accettare, migliorare, le fragilità che accompagnano ogni persona.

 

Osservate: guardate i vostri figli anche in contesti in cui “non ci siete”, dove non siete direttamente coinvolti; questo vi può dire molto di come sono e di come vogliono essere

 

Personalizzate: è importante offrire ai bambini l’opportunità di conoscere e fare esperienze diverse nelle relazioni, rispetto ai luoghi, ai giochi, al cibo. Le diverse sfumature del mondo li renderanno persone aperte, curiose e disponibili verso chi assomiglia loro, ma anche verso chi è differente.

 

Giocate: il forte impulso che spinge i bambini a giocare tra di loro rappresenta una potente spinta ad impararre a occuparsi dei desideri altrui, a considerare le caratteristiche di ognuno, a negoziare e a comporre le divergenze.

 

Ricordate che è nel gioco che i bambini intraprendono percorsi personali e originali per esprimersi e comprendere il mondo. La capacità di stupirsi per le piccole cose, il desiderio di ricercare e sperimentare, il coraggio di osare, sono elementi soggettivi che ognuno sviluppa già dalla primissima infanzia. Il gioco può avere perciò caratteristiche molto personali perchè attraverso esso, il bambino rappresenta il proprio mondo relazionale, cognitivo e affettivo. Attraverso il gioco emergono inoltre le diverse forme di apprendimento (linguistico, motorio...), gli stili e i gusti personali (ad esempio negli atelier creativi emergono nella scelta dei materiali, dei colori, delle forme e dimensioni), e i diversi mondi che ognuno sta sviluppando e che diventano risorsa comune.

Silvana Buono
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Manuela Trinci
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Madri

Mamme al plurale

Di Silvana Buono, coordinatrice pedagogica La Coccinella e psicologa

 

Sorridenti, tristi, affaticati, gioiosi, preoccupati, pensosi, ilari. Sono così, e in molti altri modi ancora, i volti delle mamme. Ogni donna, infatti, è mamma a modo suo e questo modo cambia nel tempo. In una società che propone un solo modello (quello della mamma felice e bella, sempre e comunque) o tutt'al più il suo contrario (la mamma depressa, incapace e fors'anche pericolosa per sé e per suo figlio), occorre - provare a cambiare visione culturale ( e in questo servizi e agenzie educative hanno un ruolo fondamentale) riconoscendo la diversità, l'unicità di ogni persona e tenendo conto dall'altro di quanto sia mutato il contesto negli ultimi decenni.

La situazione economica e sociale di oggi, infatti, “costringe” le donne a programmare la gravidanza per inserirla al'interno della propria vita familiare e lavorativa, proprio come si fa per gli altri impegni. Diventare madri è come prepararsi per un viaggio: si decide la destinazione, si consultano le guide, si prepara la valigia e l'equipaggiamento. Le donne si sentono quasi sempre pronte: tutto è stato pensato ed organizzato. Si hanno tante informazioni raccolte nei corsi, dai libri letti, sui siti internet. Le future mamme sono circondate da approvazione e gioia; la stanchezza viene spesso superata da un'energia nuova e vitale, quasi da un senso di onnipotenza. Poi la prima tappa del viaggio: il parto. Quel bambino sognato, sbirciato durante le ecografie, immaginato è ora reale, è un'altra persona. A questo punto ci sono probabilmente i primi intoppi rispetto al programma, ma le emozioni sono tante e il calore delle persone accanto aiutano a superare le prime difficoltà, le prime sensazioni di inadeguatezza, le prime paure. Il viaggio continua, si consulta sempre l'itinerario, ma ad un certo punto ci si trova sole, come se l'entusiasmo delle prime settimane si fosse piano piano affievolito e non ci fossero più compagni di viaggio. È questo forse il primo vero momento di smarrimento e di solitudine che porta le mamme a percepire sulle proprie spalle tutta la responsabilità e la fatica di tradurre in pratica le conoscenze e le informazioni apprese. Tutto diventa difficile ed è qui che le mamme spesso iniziano a dubitare delle proprie abilità e di quell'istinto materno che si fa sentire ma del quale si fa così fatica a “fidarsi”. È qui che le mappe diventano difficili da tradurre e sembra di non andare più avanti o addirittura si pensa che non si sarebbe mai dovute partire.

Essere accolti e riconosciuti nel proprio ruolo, o meglio nella specificità del modo in cui lo si vive. È così che la cooperativa vuole si sentano le mamme e i papà che con i loro bimbi frequentano i loro servizi. Per farlo si pone al fianco dei genitori in una logica di alleanza e non di sostituzione, con un atteggiamento sempre pronto all'ascolto e mettendo a disposizione le proprie competenze in modo discreto e delicato. Ma lo fa anche creando spazi e momenti di incontro tra genitori: uno scambio che permette la condivisione delle gioie, ma anche delle fatiche, il confronto su dubbi e interrogativi e la ricerca comune di risposte, il sostegno reciproco nei momenti di fragilità. Creare situazioni che sostengono la narratività e l'esperienza, favorire la riflessione e la costruzione di rapporti autentici basati sull'ascolto tra genitori, genera un senso di comunità e di condivisione che pochi contesti oggi offrono.

Sappiamo che non esistono manuali né indicazioni nette sul tema, meglio “giocare” il ruolo con ironia, rimanendo sempre sé stessi e…

Non cercare la perfezione: la mamma perfetta non esiste se non nella tua mente.

Imparare a dire di no: a troppi impegni che coinvolgono te e i tuoi bambini: fai piuttosto una bella passeggiata in cucina, favorisci giochi sonori, sensoriali e simbolici che coinvolgono a lungo e con piacere i bambini.

Sei mamma ma c’è anche il papà: usalo! Fate gioco di squadra.

Cominciare a dirti: “Oggi farò quello che posso e per il resto…pazienza, ci penserò domani”.

Nutrire le tue passioni: alimenta la tua fonte e anche la tua famiglia si potrà abbeverare.

Silvana Buono
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Arianna Papini
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Papà

Essere padri tra ieri, oggi e domani

di Alessia Franch, coordinatrice pedagogica de La Coccinella, psicologa e psicoterapeuta

 

Negli ultimi anni si sta dedicando sempre più attenzione ai padri e al loro ruolo all’interno del contesto familiare. Molti studiosi (antropologi, sociologi e psicologi) sostengono che il padre sia una costruzione culturale, una figura frutto quindi non dell’evoluzione animale, ma della storia e dell’esistenza psichica. Questo implica che per essere padri non basti generare un figlio, ma sia necessaria una precisa volontà. Significa anche che nel tempo l'idea di padre è cambiata, come è cambiata la società, passando dagli estremi del “padre padrone”, dominante, potente, aggressivo e a quella di “mammo” o padre peluches. Oggi, forse più che in altri periodi, i padri (ma non solo loro) sono in cammino per trovare (e sentire riconosciute) le proprie peculiarità in modo che possano essere vere risorse e opportunità per il figlio o la figlia.

È piuttosto evidente che oggi i padri sono sempre più presenti nella vita dei loro figli, questo non necessariamente solo per un’esigenza pratica, di necessità, ma anche in virtù di una scelta. Una scelta consapevole.

Forse il cambiamento, la società ha fatto credere che per essere padri, i papà dovessero “scimiottare” la madri, imitarne i gesti e il loro modo di rapportarsi con il figlio o la figlia. Questo ha probabilmente contribuito a far sentire i padri inadeguati perché non riconosciuti nel loro modo di stare nella relazione con i figli. La diversità, che non implica contraddittorietà o confusione, rappresenta invece un valore nell’educazione.

L’occhio dei padri sui figli, proprio perché spesso diverso da quello della madre, permette di ampliare lo sguardo consentendo ai bambini di essere visti e percepiti nella loro globalità e unicità. Questo sguardo diventa possibile solo se si riconosce diversità negli stili educativi che diventano complementari e non contrapposti o competitivi. Certo ognuno di noi è unico anche nel modo in cui si relaziona con i figli, ma in generale si può dire che rispetto alle madri i padri:

  • sono più diretti nel dialogo con i figli, una verità che aiuta nella crescita psicologica e nella maturazione;
  • hanno meno paura a dire "arrangiati", nel senso di “prova a fare da solo e vedrai che ce la fai”, mantenendo quella giusta vicinanza che sostiene ma non sostituisce, crea spazio di crescita ma non lascia soli;
  • sono meno disponibili ad eliminare gli ostacoli: presupposto indispensabile per la costruzione della fiducia, dell’autostima, della capacità di affrontare le difficoltà della vita;
  • riescono ad instaurare con i figli un rapporto di “sana competizione”: difficilmente lasciano vincere, preferiscono il confronto in un rapporto “alla pari”;
  • hanno meno paura di chiedere ai figli il rispetto delle proprie esigenze, dei propri spazi, dei propri bisogni;, mentre le madri hanno spesso la tendenza a rinunciare;
  • ammettono più facilmente i difetti dei figli perché li percepiscono come altro e diverso da sé, mentre la mamma tende a viverle come proprie mancanze o comunque causate da lei;
  • i padri non cercano di proteggere i figli dalle loro colpe ma li aiutano a riconoscerle, ad assumersene la responsabilità e a portarla con dignità;
  • i padri mettono i figli di fronte alla realtà e ai giudizi.

Padri e madri devono quindi poter agire attivamente e in maniera personale la genitorialità senza entrare in competizione perché solo se i diversi stili coabitano si può offrire al figlio e alla figlia un messaggio educativo completo perché se il papà li fa sentire capaci, la mamma li fa sentire protetti. La mamma cerca di evitare ai figli ciò che può procurare dolore, delusioni, fallimenti; il papà aiuta il figlio a diventare forte, capace di affrontare le avversità.

Alessia Franch
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Ivo Lizzola
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Fiducia

Cresciamo bambini fiduciosi

di Ilaria Mochen, coordinatrice pedagogica della cooperativa La Coccinella, psicologa e psicoterapeuta.

 

Ogni bambino, contestualmente agli strumenti che l’età gli consente, ha bisogno di dare e ricevere fiducia in un gioco di sottili equilibri. Se desse solamente e incondizionatamente fiducia, attraverserebbe una dimensione di dipendenza, che se è una fase della vita del bambino molto piccolo, va poi ridimensionata a favore del riconoscimento proprio e da parte dell’altro di capacità e di autonomie.

Riconoscere l’altro da sé come separato e autonomo è un processo complesso nell’interazione genitore/adulto-bambino, che passa attraverso azioni e parole che trasmettono la fiducia necessaria per poter essere e diventare sé stesso.

L’atteggiamento, l’espressione, il linguaggio corporeo dell’adulto trasmettono al bambino ciò che pensiamo realmente di lui, cosa riteniamo sia capace di fare praticamente e sostenere a livello emotivo.

E’ infatti tramite la fiducia che riceviamo dall’altro che man mano cresce il nostro senso di fiducia, la possibilità di credere in noi stessi e nella nostra unicità.

I bambini, infatti, come gli adulti del resto, non sono tutti uguali e non arrivano nello stesso momento alle medesime conquiste, per questo hanno bisogno di essere contornati di adulti fiduciosi che credono in loro e che capiscono quale sia il momento giusto per spingere la fiducia un po' più in là, sostenendo con fermezza il "ce la puoi fare" di cui tutti abbiamo avuto (e a volte tuttora abbiamo) bisogno. La fiducia non deve essere incondizionata, ma ben calibrata sulle possibilità reali. Uno sguardo fiducioso che non pretende il successo, ma che accompagna la possibilità di sperimentare, un "credo nelle tue possibilità" che porta a rialzarsi dopo una caduta e riprovare.

La permanenza della fiducia è una dimensione importante, non può subire oscillazioni, pena la possibilità di creare un senso di incertezza e di precarietà. Il vedere che l’altro ci da fiducia e non demorde, ci fa sperimentare anche un’altra possibilità fondamentale che è quella di chiedere aiuto. Chiedendo non mi sentirò sminuito nelle mie capacità ma vedrò una possibilità maggiore di riuscire in futuro da solo. Sempre di più la nostra società competitiva porta gli adulti e i bambini a ritenere l’insuccesso un fallimento più che una possibilità di crescita. Il bambino che sperimenta questa possibilità avrà in realtà maggiori possibilità di sperimentare il successo, che è fatto di prove ed errori più che di conquiste immediate.

Spesso siamo portati a vedere questa dimensione di fiducia collegata alle competenze motorie e pratiche, verso le quali come adulti ed educatori si è affinato lo sguardo e la capacità di accompagnare nel riconoscimento di competenze e autonomie, ma lo sguardo e l’orizzonte devono essere ben più ampi.

La fiducia nell’autonomia e nell’indipendenza deve accompagnare anche i pensieri!

Queste dimensioni sono in realtà molto intrecciate. Pensiamo ad un bambino che vuole arrampicarsi su un sasso. Se potessimo descrivere i processi in atto troveremmo miriadi di informazioni che vanno dalle competenze motorie alla capacità progettuale, al senso di sicurezza percepito.

Ultimo aspetto, ma non ultimo per importanza, è la fiducia in quello che l’adulto dice!

Il bambino ha bisogno di qualcuno che gli dia fiducia, ma ha altresì bisogno di pensare all’adulto come meritevole di fiducia. Un adulto che mantiene le promesse, un adulto che non disattende le aspettative.

Non ci possiamo aspettare che questo accada sempre, visto che gli eventi della vita non sono totalmente programmabili, ma nel caso non succeda ciò che il bambino aveva previsto è necessario prendersi il tempo di spiegare dando al bambino la possibilità di capire. Il compito dell’adulto è, come sempre molto importante e molto impegnativo, ma quello che si può riuscire a fare è crescere bambini capaci di avere fiducia in loro stessi e nel mondo.

 

Ilaria Mochen
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Michela Marzano
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